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Ipotesi sui meccanismi alla base dell’efficacia dell’ EMDR


L'Eye Movement Desensitization and Reprocessing (EMDR) costituisce un nuovo sviluppo in psicopatologia, offrendo un nuovo modo di vedere la patologia e di intervenire soprattutto nell’ambito della psicologia dell’emergenze. L'EMDR è usato fondamentalmente per accedere, elaborare e portare a una risoluzione adattiva i ricordi di esperienze traumatiche che stanno alla base di disturbi psicologici attuali del paziente sotto forma di informazione immagazzinata in modo non funzionale.  L’EMDR si basa sull’ipotesi che c’è una componente fisiologica in ogni disturbo o disagio psicologico.  Quando avviene un evento “traumatico” viene disturbato l’equilibrio eccitatorio/inibitorio  necessario per l’elaborazione dell’informazione. Questo provocherebbe il “congelamento” dell’informazione nella sua forma ansiogena originale, nello stesso modo in cui è stato vissuto. Questa informazione “congelata” e racchiusa nelle reti neurali non può essere elaborata provocando patologie come il disturbo post traumatico da stress (PTSD) e altri disturbi psicologici. Per questo molte persone esposte a gravi eventi traumatici dichiarano di rivivere persistentemente l’evento agendo o sentendo come se quell’esperienza si stesse ripresentando, evitando persistentemente gli stimoli legati ad esso e presentando un aumento dell’arousal (non presente prima del trauma) .

L’ipotesi sostenuta dalla Shapiro è che la stimolazione bilaterale dei due emisferi cerebrali riattivi un meccanismo innato ed ecologico, presente in ogni persona, di elaborazione di materiale mnestico altrimenti non elaborato. La ricerca ha dimostrato come alcuni tipi di stimolazione prodotti dal terapeuta attivino il processo dell’elaborazione accelerata dell’informazione che comporterebbe decondizionamento e rielaborazione delle memorie traumatiche. L'evento traumatico troverebbe la sua giusta collocazione nella memoria e non sarà  più continuamente vissuto negli incubi o nei flashback.. In particolare i movimenti orizzontali generati seguendo il movimento delle dita del terapeuta, sono stati il primo tipo di stimolazione individuata casualmente per questo scopo. È per questo motivo che l’EMDR deve il suo nome ai movimenti oculari. Quello che sembra accadere quasi certamente durante il trattamento è una sincronizzazione dei due emisferi, come si potrebbe vedere utilizzando una Tomografia ad Emissione di Positroni (PET) o un elettroencefalogramma durante le sedute. I movimenti oculari riattiverebbero le connessioni tra gli emisferi attraverso il corpo calloso e favorirebbero quindi lo spostamento all'altro emisfero dell'informazione relativa all'evento traumatico.

 I movimenti oculari, infatti, usati con l’immagine traumatica, con le convinzioni negative ad essa legate e con il disagio emotivo faciliterebbero la rielaborazione dell’informazione fino alla risoluzione adattiva. Nella risoluzione adattiva l’esperienza è usata in modo costruttivo dalla persona ed è integrata in uno schema cognitivo ed emotivo positivo nel quadro di un adeguato esame di realtà (ristrutturazione cognitiva).

In realtà il prosieguo della ricerca e della pratica clinica sta dimostrando come siano efficaci anche altri tipi di stimolazione alternata ovvero rivolti contemporaneamente  al target di intervento e ad uno stimolo esterno ritmico bilaterale proposto dal terapeuta: altri tipi di movimenti oculari, tamburellamenti sul dorso o sul palmo delle mani, rumori proposti alternatamene a entrambe la orecchie, l’osservazione di una luce che scorre su una barra luminosa. L’individuazione di questi dispositivi elicitatori di un’accellerazione nell’elaborazione delle informazioni  è la caratteristica distintiva maggiore dell’EMDR. La loro utilità deriva dalla loro efficacia e flessibilità dato che il terapeuta può modificarle liberamente adattandole all’andamento del processo terapeutico.

 

 

        EMDR :Un presunto meccanismo di azione neurobiologico

 

Numerosi studi hanno dato prova dell’efficienza della terapia della desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari (EMDR) nel trattamento del disturbo postraumatico da stress (PTSD) ma sono state date solo poche spiegazioni teoriche su come l’ EMDR potrebbe funzionare. Shapiro(1995), nella sua descrizione iniziale, propose il modello dell’ “elaborazione accelerata dell’informazione” che coinvolgeva la formazione di connessioni ‘tra appropriate associazioni”attraverso la stimolazione alternata che permetteva l’integrazione del materiale mnestico originario con nuove informazioni che prima erano inaccessibili emozionalmente e o cognitivamente. Continuò suggerendo che la rottura di questo normale processo poteva risultare dal livello di norepinepfrine troppo elevato e che i movimenti oculari utilizzati nell’ EMDR potevano attivare meccanismi REM.

Robert Stickgold e colleghi (2002) hanno proposto un modello simile che costituisce un importante sostegno neuroscientifico,  psicologico e cognitivo del modello della Shapiro. Esso rappresenta il primo passo verso una comprensione del meccanismo d’azione di EMDR nello specifico, dimostrando che vi è una spiegazione ragionevole su come l’ EMDR funziona, che è consona con la neurobiologia moderna e la neuroscienza cognitiva e che fornisce una base  per studi successivi sul meccanismo d’azione di questa tecnica.

Il modello propone che il trattamento EMDR, durante una sessione terapeutica, indurrebbe nel paziente cambiamenti neurochimici e neurofisiologici simili a quelli della fase REM del sonno. Si otterrebbe così l’integrazione di episodici ricordi traumatici nella rete della memoria semantica. Come di conseguenza, gli episodici ricordi ippocampali e gli influssi associati sono considerati indeboliti se non proprio eliminati giungendo così ad alleviare i sintomi del PTSD.

Il presupposto su cui si basa il questo modello è che il PSTD è, fondamentalmente, una conseguenza del fallimento nell’elaborazione della memoria, caratterizzato dalla dominanza di ricordi specifici ed episodici di eventi  traumatici e che il PSTD, opposto al semplice trauma, nasce quando il cervello non riesce a consolidare e integrare in maniera appropriata il sistema della memoria episodica in quella semantica sita nella neocorteccia, e come risultato, fallisce lo sviluppo di associazioni tra quell’evento ed altri ad esso collegati. La rottura di questo normale procedimento di trasferimento e integrazione di memoria conduce al mantenimento continuato della memoria episodica e dei suoi effetti in una forma impropriamente forte e carica di influssi.

Numerosi studi, inoltre, hanno dimostrato che la fase del sonno REM gioca un ruolo critico nel processo di integrazione della memoria ippocampale in quella semantica mentre  la fase non-REM sarebbe determinante per il rafforzamento di ricordi ippocampali.

Nel PTSD elevati livelli di norapinefrine (NE) bloccherebbero l’attivazione di associazioni deboli nella corteccia  necessarie per l’integrazione di ricordi atipici (es. traumatici) nelle reti di associazione normali, e disinibirebbero anche il blocco del flusso ippocampale, portando a ricorrenti ricostruzioni dei ricordi traumatici. Con l’integrazione bloccata, non ci sarebbe feedback verso l’ippocampo, e da qui l’ippocampo non riuscirebbe a inviare istruzioni per indebolire i ricordi episodici del trauma e gli effetti negativi associati. La conseguenza di questa catena di eventi sarebbe l’ auto-sostentamento di questa condizione di PTSD.

Studi sulle neuroimmagini indicano che movimenti oculari sia durante la fase REM che quando si è svegli attivino simili aree corticali (ippocampo, amigdala, cingolato anteriore,  corteccia orbitale frontale). Durante il trattamento EMDR ripetuti movimenti oculari potrebbero probabilmente dare avvio a meccanismi di induzione –REM nel cervello.

La stimolazione alternata e bilaterale, infatti, prodotta dai movimenti oculari obbliga i soggetti a spostare costantemente la loro attenzione conducendo all’attivazione di circuiti che possono dare inizio alla fase REM.

Sarebbero proprio questi spostamenti che si ritiene permettano quei cambiamenti nell’elaborazione di ricordi traumatici attraverso i quali l’ EMDR favorisce il trattamento delle memorie e realizza la guarigione dal PTSD.  Da una prospettiva psicologica, il paziente diventa capace di vedere il significato degli eventi della propria intera vita, e perciò ‘venire a patti’ con l’evento traumatico. Una volta integrato con successo, circuiti corticoippocampali inducono l’indebolimento del ricordo episodico traumatico e dei suoi effetti associati.

Tengo a precisare che gli stessi autori dell’articolo da cui ho tratto le seguenti informazioni affermano di non avere solidi riscontri su tutti i nessi e le interpretazioni logiche presentate qui. Il loro intento non è di ‘provare’ attraverso uno processo deduttivo scientifico che l’EMDR funzioni ma di proporre un modello che possa considerarsi una spiegazione ragionevole del suo  funzionamento che al momento sembra essere oscuro e oggetto di speculazioni.

 

 Procedura d’intervento dell’EMDR

 

Come ho già accennato precedentemente, l’EMDR è nata come terapia elettiva del PTSD ed ha modellato la struttura della propria procedura d’intervento (nonchè le sue basi teoriche) su questa patologia. I protocolli d’intervento rivolti ad altre patologie sono l’adattamento dell’originale protocollo per il PTSD.

La tecnica EMDR viene utilizzata per lavorare su un preciso tema disturbante ("target") di tipo traumatico individuando una convinzione negativa che il paziente ritiene di aver costruito reagendo a quella esperienza. Le convinzioni negative su cui si lavora sono quelle che riguardano direttamente la persona ("non valgo nulla", "sono in pericolo", ecc.) e che in qualche misura sono divenute dei pregiudizi implicitamente attivi nell'ordinaria concezione di sé. Si lavora con l'obiettivo che il paziente giunga a sentire come "propria" una convinzione più ragionevole di quella di partenza (ad.es.: "valgo come le altre persone" o "posso affrontare eventuali pericoli", ecc.). All'inizio il paziente attribuisce alla convinzione negativa ed a quella positiva un punteggio in una scala soggettiva di valutazione riguardante l'intensità delle due convinzioni. Il lavoro si conclude quando la convinzione negativa ottiene un punteggio nullo e quella positiva un punteggio massimo. Si deve tener presente che le persone possono essere "filosoficamente" convinte di valere quanto gli altri anche se, di fatto, si sentono delle nullità. E' a questo livello (al livello del "sentire una convinzione") che si lavora con l'EMDR e, di fatto, la rielaborazione delle situazioni traumatiche fatta con la sollecitazione data dal terapeuta durante gli esercizi con i movimenti oculari o con altri tipi di stimolazione alternata, porta ad una modificazione dei punteggi inizialmente attribuiti alle due convinzioni.

La tecnica si articola in successivi esercizi brevi e molto semplici durante i quali il paziente non deve cercare né di rilassarsi, né di attivarsi mentalmente, ma deve lasciare che i pensieri fluiscano partendo dal target iniziale e successivamente dalle ultime sensazioni, idee o immagini emerse. Dopo ogni esercizio il paziente riferisce cosa ha pensato ed il terapeuta, di norma, non interviene e invita solo ad andare avanti col successivo esercizio. Riferisco questi approssimativi elementi informativi per sottolineare che il nocciolo dell'EMDR sta nella facilitazione di un lavoro mentale del paziente e non in un "lavoro di squadra" in cui analista e paziente affrontano un problema, come nel normale percorso analitico centrato su difese e vissuti. Ovviamente la tecnica EMDR prevede anche che il terapeuta prenda delle decisioni uscendo dalla neutralità in certe situazioni e che comunque decida quanto prolungare gli esercizi e se lavorare sul canale visivo o tattile o auditivo.

Quando il terapeuta considera "completata" una sequenza di esercizi, propone al soggetto di  ripartire dal target iniziale e di avviare un altro ciclo. Il lavoro può essere ripreso nel corso di successive sedute e in qualche misura prosegue a casa, poiché spesso i clienti notano che il lavoro fatto ha avuto degli strascichi emozionali o ha dato luogo a particolari riflessioni o ha fatto riaffiorare dei ricordi.

Quando si giunge al punteggio ottimale, si eseguono alcuni controlli e si completa il lavoro con esercizi che dovrebbero "installare" la convinzione positiva. Queste operazioni vengono svolte in modo abbastanza ritualizzato, come tutto il lavoro EMDR e sono sempre condotte mentre il terapeuta sollecita l'attività dei due emisferi cerebrali con i consueti movimenti oculari o altro.

Va comunque sottolineato il fatto che anche se l'EMDR viene proposta come tecnica applicabile da terapeuti formatisi in qualsiasi scuola, tale tecnica è in certa misura dipendente da una concezione psicologica e psicoterapeutica cognitivista. Si consideri ad esempio che quando affiorano emozioni molto potenti i terapeuti sono invitati, se debbono intervenire, a non "guidare" il paziente nella gestione del vissuto emotivo, ma a sottolineare che esso è un aspetto del passato. Se la situazione emozionale non si placa da sola il terapeuta è invitato ad utilizzare tecniche di rilassamento, tra le quali quella del "posto sicuro" che, infatti, viene "preparata" prima dell'inizio del lavoro. In tale fase preparatoria si invita il paziente ad immaginare un luogo fisico, reale o immaginario in cui egli si sente (o si è realmente sentito) in pace ed al sicuro e si procede con l'EMDR per "collegare" il soggetto a tale "oasi" in modo che possa tornare là, in caso di necessità.

In realtà l'intento dell'EMDR non è quello di desensibilizzare in modo artificioso le persone rispetto a certe situazioni, ma di "sbloccare" un processo interno di autoguarigione. A questo proposito Francine Shapiro si è espressa con chiarezza: "Questo processo di guarigione scaturiva dall'interno. Il mio ruolo era di guida, di agevolatore e testimone, ma non ero io a causare il mutamento nei miei soggetti" (Shapiro-Forrest, 1997, p.37). L'idea di fondo quindi non è di condizionare un soggetto desensibilizzandolo, ma di favorire un funzionamento mentale ottimale che non dia luogo a risposte disadattive. Per questo il termine desensibilizzazione viene associato a quello di rielaborazione e l'EMDR ha l'obiettivo di far superare la frammentazione con cui molte persone esposte ad una situazione traumatica recepiscono i vari aspetti della loro esperienza.

Potrebbe essere che l'intervento termini con la rielaborazione di un singolo evento traumatico, ma in realtà questa eventualità non è certo la più frequente. Il trattamento di un evento traumatico sovente porta il paziente a riferire di altri episodi stressanti o francamente traumatici variamente connessi al target di partenza, all'interno di una vera e propria rete mnestica.
Il protocollo standard di intervento per il PTSD prevede, inoltre, che sia clinicamente necessario rielaborare gli eventi traumatici passati, ma intervenire anche sulle situazioni contingenti attuali che fungono da triggers nei confronti degli eventi traumatici e, infine, sulle ipotetiche situazioni future che si presumano possano riattivare i comportamenti disfunzionali connessi alle originarie esperienze traumatiche. Di conseguenza, è teoreticamente corretto e clinicamente efficace considerare come target d'intervento non tanto il singolo evento che il paziente riferisce - appunto - come traumatico, quanto piuttosto il ricordo in questione all'interno di una specifica rete mnestica, con connessioni al passato, al presente ed al futuro.

 

  Il ruolo dei movimenti oculari nell’EMDR:dubbi e certezze

           

Il ruolo del movimento degli occhi coinvolti nel processo EMDR attende conferme empiriche. Comunque, la confusa presentazione delle ricerche sui movimenti oculari ha portato alcuni scrittori a concludere che essi non contribuiscono ai risultati dell’ EMDR. In realtà, il ruolo del movimento oculare (e degli stimoli alternativi di doppia-attenzione) nel processo di  EMDR resta un fatto che necessita di verifiche empiriche più adeguate. Sanderson e Carpenter (1992), hanno confrontato il risultato del trattamento di alcuni soggetti fobici sottoposti  a EMDR e ad una situazione simile all'EMDR, ma con l'istruzione di tenere gli occhi chiusi. Hanno riscontrato risultati positivi paragonabili in entrambe le condizioni. Alle stesse conclusioni di Sanderson e Carpenter (1992) porta lo studio di Acierno et al. (1994) condotto su un soggetto sofferente di molteplici fobie, ma applicando l'EMDR con la prescrizione al soggetto di restare ancorato all'immagine target durante i movimenti oculari. Anche lo studio di Boudewyns e Hyer (1996),  porta agli stessi risultati dei due precedenti.

Boudewyns e Hyer (1996) hanno confrontato il trattamento dell'ansia in generale, nel primo lavoro, e del Disturbo di Panico, nel secondo, trattate con EMDR e EMDR con la variante rappresentata dalla fissazione delle dita del terapeuta, senza che venissero mai mosse. In entrambi gli studi i soggetti hanno ottenuto miglioramenti da entrambe le condizioni sperimentali, ma con una differenza significativa di efficacia dei movimenti oculari rispetto alla fissazione delle dita. Nello studio di Boudewyns et al. (1993) con i reduci del Vietnam, ancora, la sottrazione dei movimenti oculari non ha prodotto risultati clinici positivi nei soggetti, come si deduce anche da Montgomery e Ayllon (1994). I sostenitori della tecnica dell’EMDR però affermano che in tutti queste ricerche sperimentali era presente un numero inadeguato di soggetti con una  durata del trattamento insufficiente e in più il protocollo EMDR non era stato correttamente impiegato, in particolare non rispettando  la prescrizione di applicare i movimenti oculari ad ogni nuova associazione mentale prodotta dal soggetto (Lipke, 2000).

Da questa riesamina, è chiaro che il ruolo del movimenti oculari nel processo EMDR attende ricerche empiriche adeguate per la loro esclusione o la loro conferma in quanto componenti utili al trattamento. Tentare di trascurare le ragioni per l’uso del movimenti oculari sono inaccettabili e premature. Inoltre, l’EMDR ha ricevuto conferma della sua validità empirica per ciò che concerne il trattamento del PTSD, e il procedimento testato include la componente del movimento oculare (o la dual-attention alternativa). Perciò, la rimozione di questi stimoli dalla procedura valida richiede una precedente e adeguata analisi delle componenti tali da poterli non considerare come elementi significanti del trattamento. In assenza di tali studi, la loro rimozione non ha giustificazioni empiriche.

 

  Studi e ricerche sul metodo EMDR

 

L’EMDR, come abbiamo detto, è stato oggetto di molte ricerche. L’innovazione portata in campo scientifico da tale metodo è stata bersaglio sia di aspre critiche che di visioni eccezionalmente positive. Ogni giudizio andrebbe rimesso all’oggettività scientifica e dovrebbe ragionevolmente basarsi su risultati di ricerche valide. In effetti molto si è detto sull’EMDR, ma spesso in modo non del tutto chiaro: numerosi studi critici ed altri più favorevoli sono stati svolti con metodologie talvolta non totalmente corrette. Sebbene l’EMDR non sia una panacea per ogni male, merita molta attenzione per le sue potenzialità terapeutiche. Esiste una certa  mole di ricerche ritenute metodologicamente adeguate che ha consentito all’EMDR di essere considerata dall’American Psychiatric Association (APA) nel 1995 trattamento probabilmente efficace (valutazione A/B) nella terapia del PTSD. Più recentemente è stata riconosciuta tale anche dall’International Society for Traumatic Stress Studies (ISTSS). Di seguito vedremo alcuni degli studi più significativi sull’EMDR che hanno dimostrato che dopo l’equivalente di tre sedute di 90 minuti ciascuna (cioè 4,5 ore) più del 84% dei soggetti che avevano subito un trauma singolo non rientrava più nei criteri diagnostici dei PTSD. Scheck et al. (1998), hanno lavorato con 60 donne di età compresa fra i 16 ed i 25 anni, vittime di violenza sessuale, che sono state assegnate in modo randomizzato a due sedute di EMDR o di "ascolto attivo". La valutazione pre- e post-trattamento è stata effettuata in modo indipendente attraverso strumenti psicometrici e interviste diagnostiche. L'EMDR si è dimostrata più efficace dell'ascolto attivo su tutti i parametri. Nonostante la brevità dell'intervento, i valori registrati dai soggetti trattati con EMDR sono risultati superiori, per tutti gli strumenti di misurazione utilizzati.

Marcus et al. hanno lavorato su un campione di 67 soggetti con diagnosi di PTSD che è stato trattato con assegnazione randomizzata con tre sedute da 90 minuti di EMDR. Un valutatore indipendente ha valutato la condizione pre- e post-trattamento attraverso: SCL-90, BDI, STAI, SUD, IES, Modified PTSD-Scale (Falsetti, Resnick, Resnick, Kilpatrik, 1993). Il 100% dei soggetti vittime di un solo trauma e l'80% dei soggetti pluritraumatizzati non hanno più soddisfatto i criteri per la diagnosi di PTSD, risultati molto superiori rispetto al gruppo di  confronto, ovvero al trattamento standard del Kaiser Permanente Hospital, composto da terapia individuale (o cognitiva, o comportamentale o psicodinamica) più terapia farmacologica, più terapia di gruppo.

Wilson e al.(1995) hanno compiuto uno studio sul mantenimento degli effetti dell’EMDR su un campione di 66 partecipanti, a 32 dei quali era stato diagnosticato il PTSD precedente al trattamento. I  risultati  suggeriscono che gli effetti iniziali del trattamento furono mantenuti per 15 mesi di post-trattamento sia per i partecipanti affetti da PSTD che da quelli parzialmente affetti da PSTD; che le 3 sessioni di 90 minuti di EMDR precedentemente somministrate produssero una riduzione dell’ 84%  nelle diagnosi di PSTD e una riduzione del 68% dei sintomi di PSTD riscontrati. Le limitazioni del presente studio includono il non aver investigato gli effetti di comorbilità, non avere la condizione di controllo per il periodo d’osservazione dei 15 mesi a causa del progetto d trattamento-ritardato dello studio originale e logorio dei partecipanti al 15° mese.

 Wilson e al.(1996), inoltre, hanno pubblicato uno studio sull’ EMDR osservandone gli effetti per un anno. Essi riscontrarono che l’EMDR produceva immediati miglioramenti post-trattamento secondo la Subjective units of Disturbanace Scale (SUDS), la Validity of Cognitions Scale (Voc), secondo il ritmo cardiaco, la temperatura corporea, la pressione sanguigna sistolica, e la risposta galvanica della pelle. I dati indicarono che i risultati di SUDS e VOC furono mantenuti o migliorati, ma le informazioni non furono ottenute attraverso misurazioni standard o diagnosi.
Oltre alle ricerche menzionate, l’efficacia dell’EMDR è stata documentata in studi in cui veniva utilizzata la SPECT condotti presso la Facoltà di Medicina dell'Università di Boston da Bessel Van Der Kolk(1999). Egli ha riscontrato cambiamenti nei soggetti affetti da PTSD in seguito ad una seduta con l'EMDR. Scansioni pre e post-trattamento indicano dei miglioramenti a livello neurofisiologico.

Sono rintracciabili anche pubblicazioni che indicano che il metodo è inefficace o dubbio nella terapia del PTSD. Negli ultimi anni sono state criticate e messe seriamente in discussione le vaghe premesse teorico-neurofisiologche del metodo. Secondo Yule e coll. (1999), tutte le spiegazioni sulla presunta base "neurofisiologica" del processo terapeutico nell'EMDR sono in realtà fuorvianti: secondo il gruppo inglese, l'EMDR altro non è che una semplice procedura di esposizione immaginativa allo stimolo traumatico, facilitata da un "distrattore" (i movimenti oculari). Questa "mere exposure" permetterebbe, secondo questi autori, un'estinzione comportamentale dell'iperattivazione neurovegetativa e dei pensieri intrusivi che avrebbe quindi poco a che fare con il concetto di trauma intrappolato nella "rete neuronale" (Shapiro1995). Confrontando il trattamento EMDR con la procedura di esposizione immaginativa allo stimolo traumatico alcuni studi (Iroson, Freund, Strass, & Williams, 2002; Vaughan et al., 1994) hanno mostrato effetti paragonabili sul PTDS in entrambi i trattamenti; altri studi (Rogers et al., 1999), invece, hanno rilevato una maggiore efficacia dell’EMDR rispetto all’altro trattamento. Degni di nota sono alcuni contributi di verifica sperimentale condotti con procedure e strumenti di valutazione standardizzati: ad esempio quello di Jensen (1994), nel quale la somministrazione a 74 veterani del Vietnam della Mississippi Combat-related PTSD Scale prima e dopo le sessioni di EMDR non ha segnalato differenze nella sintomatologia; di Boudewyns (1993), nel quale non sono state rilevate differenze significative in altri 20 veterani sottoposti al trattamento; di Vaughn ed Armstrong (1994), dove l'assegnazione casuale di 36 soggetti adulti alle condizioni "lista di attesa", "mere exposure", "relaxation" e "EMDR" è stata accompagnata dall'utilizzo di inventari di ansia (legati al costrutto di iperarousal) prima e dopo il trattamento (la valutazione pre-post era svolta da valutatori in cieco, che non sapevano a quale gruppo appartenevano i soggetti): non è risultata alcuna differenza clinica statisticamente significativa tra i 4 gruppi. Questi risultati contrastano le affermazioni secondo cui dall'84% al 100% dei soggetti va incontro ad una remissione completa dei sintomi dopo 3 sedute di 90 minuti" (Shapiro, 1999). In generale, un problema serio della validazione clinica dell'EMDR è rappresentata dalla mancanza di studi su larga scala ed in doppio cieco, svolti utilizzando strumenti standardizzati e con follow-up a lungo termine.

L’EMDR attualmente rimane, per così dire, nell’occhio del ciclone. A molti clinici è sembrata una tecnica troppo fredda,meccanicistica e semplicistica e non si caratterizza come una vera e propria psicoterapia poiché  non ha come oggetto la personalità del cliente e la comprensione della sua intenzionalità difensiva anche se questo non esclude che essa costituisce un pilastro fondamentale per molti interventi in situazioni di emergenza, un trattamento insostituibile per i "disturbi post traumatici da stress" ed una tecnica efficace e completa da applicare quando non ci sono le condizioni per impostare un percorso analitico.

 

fonti citate nel corso dell'articolo